Con le imminenti modifiche alla disciplina dei reati tributari, sotto osservazione anche le operazioni fra atleti, procuratori sportivi e società.
Con l’approvazione del Decreto-Legge 26 ottobre 2019, n. 124 (di seguito anche “Decreto Fiscale”) viene parzialmente rivisto l’impianto sanzionatorio disciplinante i reati di natura penal-tributaria di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (di seguito anche “d.lgs n. 74”), allo scopo di contrastare i fenomeni di evasione fiscale e contributiva delle imposte dirette e indirette nonché le frodi fiscale.
La novella recata dall’art. 39 (rubricato “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”), pur avendo effetti differiti alla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione (cfr. comma 3), ha previsto – per quanto qui di interesse – le seguenti modifiche:
(i) riduzione delle soglie di punibilità penale dell’imposta evasa o degli elementi attivi sottratti ad imposizione;
(ii) innalzamento delle pene edittali, minime e massime, per specifici delitti tributari;
(iii) estensione della cd. “confisca per sproporzione” ai reati tributari (pur con taluni limiti);
(iv) introduzione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti inesistenti nell’ambito degli illeciti amministrativi cui si richiama la responsabilità degli enti.
Nel merito, si richiamano i seguenti temi.
(i) Soglie di punibilità penale
Innanzitutto, il Decreto Fiscale interviene abbassando la soglia di rilevanza penale nel caso di commissione di specifici delitti tributari, fino a:
- 100.000 Eur nel caso di infedele dichiarazione, ex art. 4, comma 1 del d.lgs. n. 74 (in luogo della precedente soglia di 150.000 Eur). Tale limite, calcolato con riferimento a ciascuna delle singole imposte dirette e indirette, assume rilevanza qualora – contemporaneamente – l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti a tassazione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, sia (a) superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione dei redditi e, comunque, (b) non inferiore a 2.000.000 Eur (in luogo dei precedenti 3.000.000 Eur);
- 100.000 Eur in caso di omesso versamento di ritenute dovute o certificate, ex art. 10-bis, comma 1 del d.lgs. n. 74 (il precedente limite era di 150.000 Eur), per singolo periodo d’imposta;
- 150.000 Eur in caso di omesso versamento IVA, ex art. 10-ter, comma 1 del d.lgs. n. 74 (il precedente limite era di 250.000 Eur), per singolo periodo d’imposta.
È, viceversa, invariata la soglia di punibilità in caso di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, che rimane ferma a 50.000 Eur.
Anche qualora le soglie di rilevanza penale non vengano superate, permane il potere dell’Amministrazione finanziaria di procedere all’emissione di un atto per la riscossione della maggiore imposta accertata o degli omessi versamenti.
(ii) Rimodulazione delle pene edittali
Un secondo intervento del Decreto Fiscale ha riguardato la revisione delle pene connesse ai reati in materia dichiarativa e in materia di documenti e pagamento di imposte.
La tabella sinottica riepiloga, in estrema sintesi, il passaggio dalle previgenti alle nuove cornici edittali relativamente alle diverse fattispecie di delitti:
Lo schema sanzionatorio del d.lgs. n. 74 viene invece confermato con riguardo alle seguenti tipologie di reati:
(iii) Confisca per sproporzione
Il terzo intervento in commento amplia invece la fattispecie – prevista dall’art. 240-bis del Codice Penale (rubricato “Confisca in casi particolari”) – ai delitti di natura tributaria configurabili ex d.lgs. n. 74, con l’eccezione dei casi di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis del d.lgs. n. 74) e omesso versamento IVA (art. 10-ter del d.lgs. n. 74 ).
Si tratta, nello specifico, della cd. “confisca per sproporzione”. La fattispecie, a differenza della confisca “tradizionale”, non va infatti a colpire solo i beni che costituiscono il profitto o il prezzo dell’illecito, ma anche (da qui, l’intercalare “per sproporzione”) i beni, il denaro o altre utilità di cui il contribuente:
- non sia in grado di dimostrare la provenienza;
- risulti essere, anche per interposta persona fisica o giuridica, il titolare;
- risulti averne la disponibilità, a qualsiasi titolo, in valore sproporzionato rispetto alla capacità contributiva reddituale.
Dunque, con l’allargamento della fattispecie anche ai casi enunciati dal d.lgs. n. 74, verrebbe estesa al regime della “confisca per sproporzione” anche la commissione dei seguenti delitti tributari:
(iv) Responsabilità degli enti
Con riguardo a quest’ultimo punto, il comma 2 dell’art. 39 del Decreto Fiscale prevede che anche i delitti tributari entrino a far parte dei reati-presupposto che integrano la responsabilità amministrativa degli enti forniti di personalità giuridica (ovvero società e associazioni anche prive di personalità giuridica).
Infatti, dopo l’articolo 25-quaterdecies del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito anche “d.lgs. n. 231”) è aggiunto il seguente: “Art. 25-quinquiesdecies (Reati tributari). – 1. In relazione alla commissione del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote“.
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 231, la sanzione pecuniaria è applicata per quote in un numero non inferiore a 100 né superiore a 1.000. L’importo di una quota varia da un minimo di 258 euro ad un massimo di 1.549 euro.
Come chiarito dalla Relazione Illustrativa al Decreto Fiscale, “[C]on l’introduzione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i più gravi reati tributari commessi nel loro interesse o a vantaggio delle medesime, si inizia a colmare un vuoto di tutela degli interessi erariali (…)”. Inoltre, “(…) la norma consentirà di superare le incertezze giurisprudenziali e le aperture interpretative sulla sequestrabilità e confiscabilità (anche per equivalente) del profitto del delitto tributario ove lo stesso sia rifluito nelle casse della persona giuridica a beneficio della quale il delitto sia stato commesso”
* * * * * * *
Nell’ambito di questo generale quadro di sistema, non possono non richiamarsi gli effetti che le novità introdotte dal Decreto Fiscale possono avere in ambito sportivo, con riguardo ad atleti e loro procuratori, da un lato, e società sportive, dall’altro.
Atleti professionisti
La prestazione di un atleta professionista è inquadrata nell’ambito della Legge n. 91/1981 (di seguito anche “legge n. 91”), che pone regole a tutela dell’attività sportiva in Italia. In particolar modo, l’art. 3 chiarisce che “la prestazione a titolo oneroso dell’atleta costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato regolato dalle norme contenute nella presente legge”.
Dunque, il compenso percepito dallo sportivo professionista a seguito di un’attività prestata nell’ambito della legge n. 91 costituisce rapporto di lavoro subordinato qualora sussistano certi requisiti di onerosità e continuità della prestazione eseguita. Il successivo art. 4 della legge n. 91 chiarisce che “il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate” (sul tema si veda anche il seguente approfondimento).
In tal modo, la qualificazione tributaria del reddito percepito dallo sportivo professionista ricade – come ogni altro lavoratore subordinato – nell’ambito del Titolo I, Capo IV del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito anche “T.U.I.R.”), per cui “[S]ono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri” (art. 49, comma 1 del T.U.I.R.).
Nell’ambito del “reddito di lavoro dipendente” si computano, ai sensi dell’art. 51, comma 1 del T.U.I.R., tutte le “somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta”: nella prima categoria rientra il compenso per lo svolgimento dell’attività ordinaria, nella seconda categoria rientrano gli emolumenti corrisposti “in natura” nel periodo d’imposta (cd. “fringe benefits”), che contribuiscono a formare la retribuzione complessiva ai fini IRPEF del dipendente sulla base del cd. “principio di onnicomprensività”.
Conseguentemente, il reddito corrisposto allo sportivo è soggetto a ritenute alla fonte dal datore di lavoro, quale sostituto d’imposta, ai sensi dell’art. 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
– Fringe benefits
Questa breve premessa si è resa necessaria poiché una stretta peculiarità che interessa la categoria degli sportivi professionisti riguarda la presunta esistenza di un “fringe benefits” in capo agli atleti sui compensi corrisposti dalle società professionistiche ai procuratori sportivi ( sul tema si veda anche il seguente articolo).
Tale fattispecie, ampiamente sostenuta dall’Amministrazione finanziaria nell’ultima decade, ha trovato un deciso appiglio nella disciplina ad hoc prevista dalla legge di Bilancio 2014, che aveva introdotto, con l’art. 51, comma 4-bis del T.U.I.R, una presunzione legale assoluta in forza della quale il 15% del costo dell’attività di assistenza sostenuto dalle società sportive professionistiche nell’ambito delle trattative aventi ad oggetto attività di intermediazione, assistenza e consulenza connesse alla stipulazione di contratti di prestazione sportiva dell’atleta medesimo (al netto delle somme già versate dall’atleta stesso al proprio procuratore per la medesima attività) era considerata tout-court come remunerazione in natura corrisposta allo sportivo medesimo (quindi, “fringe benefit”) dalla società di appartenenza.
Sebbene l’art. 51, comma 4-bis del T.U.I.R. sia stato poi abrogato con decorrenza 1° gennaio 2016 (creando sul punto, se possibile, un clima di grande incertezza, tenuto conto del valore economico dei compensi erogati ai procuratori sportivi), l’Agenzia delle Entrate ha continuato a mantenere una propria posizione (in forza della generale disposizione di cui all’art. 51, comma 1 del T.U.I.R. in materia di “fringe benefits” ai dipendenti) fondata sempre sull’assunto che i compensi pagati dal club sportivo in favore dell’agente, formalmente ingaggiato dalla società stessa, altro non fossero che il pagamento per servizi resi dallo stesso agente nell’esclusivo interesse del proprio assistito.
Contestando in tal modo un’operazione fittizia dal lato soggettivo, strutturata in modo tale da far ricadere l’onere della prestazione sulla società sportiva anziché sul calciatore (in quanto reale beneficiario della prestazione) ed evitando di qualificare il pagamento della somma dovuta come una forma di retribuzione aggiuntiva in natura corrisposta al calciatore (secondo il citato principio di “onnicomprensività”).
Di talché, ricollegandoci a quanto sueposto, in capo alla società sportiva incomberebbe l’onere di effettuare le ritenute alla fonte, in quanto sostituto d’imposta, ex art. 23 del d.P.R. 29 settembre 1973, mentre allo sportivo potrebbe essere contestato il reato di infedele dichiarazione (ex art. 1, comma 2 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471) per aver indicato un reddito imponibile inferiore a quello accertato, giungendo finanche a rilievi di natura penale al superamento delle nuove soglie previste dall’art. 4 del d.lgs. n. 74, come modificato dall’art. 39, comma 1, lett. d), e) e f) del Decreto Fiscale. Ovvero, qualora sia accertata l’indicazione in dichiarazione dei redditi di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo se:
l’imposta evasa è superiore a 100.000 Eur, sempreché l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti a tassazione sia superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione dei redditi e, comunque, non inferiore a 2.000.000 Eur. |
Non da ultimo, bisogna pur sempre considerare che, nell’ambito di questo generale quadro d’incertezza, l’art. 15 del d.lgs. n. 74 prevede che “non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione“.
In tal modo, potrebbe eventualmente essere invocata l’esimente dell’incertezza normativa per disapplicare i dirimenti effetti penali qui esposti (richiamandosi, in altre parole, i principi già statuiti nell’ambito del processo tributario, ex art. 8 del Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546).
– Diritti di immagine
Di pari grado, sotto un profilo penal-tributario, sono le considerazioni che possono emergere con riguardo al tema dello sfruttamento economico dei diritti di immagine di uno sportivo.
Il tema è particolarmente delicato dal momento che, in assenza di una disciplina specifica che regolamenti (sotto un profilo civilistico) l’attività di sfruttamento di tali diritti (l’art. 97 della Legge sul Diritto d’Autore si limita infatti ad inquadrare la fattispecie con meri intenti “tutelativi”, disponendo che “Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa…“), la conseguente qualificazione tributaria presta troppe volte il fianco ad interpretazioni difformi e, pertanto, a possibili contestazioni dell’Amministrazione finanziaria.
Motivo per cui il reddito percepito dallo sportivo dall’attività di sfruttamento economico dei diritti di immagine può qualificarsi – a seconda che questo derivi da un rapporto di tipo “complesso” con la società sportiva di appartenenza ovvero si inserisca nell’ambito di un diverso schema negoziale – quale:
- reddito da lavoro dipendente (artt. 49 e 51 del T.U.I.R.)
- reddito da lavoro autonomo (artt. 53-54 del T.U.I.R.)
- reddito diverso, derivante da “obbligazioni di fare, non fare e permettere” (art. 67, comma 1, lett. l) del T.U.I.R.).
Conseguentemente, con l’abbassamento delle soglie di rilevanza penal-tributaria, bisognerà prestare particolare attenzione alla qualificazione reddituale conferita ai flussi di ricavo connessi allo sfruttamento dei diritti d’immagine, avendo cura in via preliminare di inquadrare correttamente la fattispecie sotto un profilo giuridico.
Si pensi, banalmente, ad uno sportivo che abbia optato per il regime dei nuovi residenti ai sensi dell’art. 24-bis del T.U.I.R.: in ragione delle peculiarità dello specifico regime, volto ad agevolare il reddito di fonte estera, avrà estrema importanza la corretta qualificazione tributaria dei redditi prodotti nello sfruttamento dei diritti. Questo perché, in ragione della classe di appartenenza, da una lettura “a specchio” dell’art. 23 del T.U.I.R. potrà emergere una differente territorialità dei ricavi connessi (fonte domestica o fonte estera), che potrà portare a risultati diametralmente opposti in termini di reddito imponibile e imposta IRPEF.
Infatti, nel caso in cui detti proventi ricadano fra i redditi di lavoro dipendente o autonomo, ai fini della territorialità occorrerà necessariamente aver riguardo al luogo di svolgimento dell’attività artistica o professionale intesa in senso stretto. Diversamente, nel caso di redditi diversi, si dovrà avere riguardo al luogo in cui viene effettuata la specifica attività di sfruttamento dei diritti di immagine, che sia esercitata direttamente dallo sportivo o dal soggetto cessionario al quale lo sportivo ha conferito in uso l’utilizzo della propria immagine (ad esempio, se cedente e cessionario sono situati in uno Stato terzo rispetto a quello nel quale avviene l’attività di sfruttamento). Per approfondimenti sul tema, si rimanda a A. Della Carità – E. A. Palmitessa, La territorialità dei compensi da sfruttamento economico del diritto all’immagine, ilfisco, 21/2019, p. 2010.
Parimenti a quanto visto nel paragrafo precedente, in presenza di accertamenti dell’autorità tributaria (ad esempio, perché lo sportivo ha utilizzato un veicolo societario per la cessione dei diritti di immagine e l’operazione viene riqualificata dall’Amministrazione finanziaria come schema di elusione fiscale finalizzato ad abbattere il reddito imponibile, ovvero perché viene contestata la modalità di qualificazione dei redditi connessi allo sfruttamento dei diritti d’immagine dell’atleta da parte della società sportiva di appartenenza), le contestazioni di natura penale emergeranno ogni qualvolta – a fianco dell’accertamento di violazioni di natura amministrativa per aver indicato un reddito imponibile inferiore a quello accertato – sia rilevata l’indicazione di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo. E, conseguentemente:
l’imposta evasa è superiore a 100.000 Eur, sempreché l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti a tassazione sia superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione dei redditi e, comunque, non inferiore a 2.000.000 Eur. |
(nota: per motivi di brevità espositiva non vengono sollevati temi riguardanti, a titolo di esempio, eventuali contestazioni di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di operazioni soggettivamente simulate).
– Altre fattispecie
Va da sè che nell’ambito del professionismo sportivo, quindi nel caso di atleti tesserati per la Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.), Federazione Italiana Golf (F.I.G.) e Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.), il rapporto di lavoro cui soggiace lo sportivo è riconducibile ad uno dei seguenti profili:
- rapporto di lavoro dipendente, nel caso dei calciatori o giocatori di basket;
- rapporto di lavoro dipendente o rapporto di lavoro assimilato al lavoro dipendente, nel caso di ciclisti (a seconda che il soggetto eserciti, o meno, l’attività secondo i requisiti di onerosità e continuità della prestazione, come previsto dall’art. 3, comma 1 della legge n. 91 in combinato disposto con l’art. 50, comma 1, lett. c-bis e l’art. 53, comma 3 del T.U.I.R.);
- rapporto di lavoro autonomo, nel caso dei golfisti.
Sicché, le tematiche di carattere fiscale che interessano le citate categorie di soggetti – da cui possono emergere rischi di passività fiscali che conducano a situazioni nelle quali si inseriscano profili di responsabilità penale e tributaria del contribuente – sono quelli caratteristici della specifica categoria reddituale.
In altre parole, rischi ridotti nel caso di rapporto di lavoro subordinato (laddove la criticità maggiore viene identificata nella gestione dei propri diritti d’immagine, dal momento che il prelievo fiscale dovrebbe essere già operato dal sostituto d’imposta) e rischi più elevati nel caso di soggetti operanti in qualità di lavoratori autonomi (per esempio, contestazioni nella determinazione del reddito imponibile sul quadro RN della dichiarazione dei redditi, con riguardo a costi e spese – come viaggi e trasferte per tornei internazionali – inerenti l’attività professionale).
A latere, non può non evidenziarsi come quest’ultima tematica rivesta un’estrema importanza nel caso di soggetti quali i tennisti che, non essendo formalmente qualificati come atleti “professionisti” nell’ambito della legge n. 91, ritraggono comunque compensi elevati dall’attività sportiva.
Si pone pertanto un tema – tutt’altro che scontato – riguardante la qualificazione dei compensi da attività sportiva nell’ambito di (a) redditi di lavoro autonomo o (b) redditi diversi, cui corrisponde una diversa modalità di calcolo della base imponibile: nel primo caso, si potrebbe beneficiare (per esempio) della deduzione di costi per viaggi e trasferte nel quadro RE della dichiarazione dei redditi; nel secondo caso, questo diritto sarebbe fortemente limitato.
Da qui la possibilità che l’abbassamento delle soglie penali nell’ambito del d.lgs. n. 74 aumenti concretamente il rischio fiscale in capo a questa tipologia di professionisti (ribadiamo, formalmente esclusi dall’alveo del professionismo sportivo ai fini della legge n. 91 ma comunque portatori di interessi economici particolarmente importanti, basti pensare ai montepremi per la partecipazione ai tornei del circuito ATP Tour nonché ai compensi per sponsorizzazioni e diritti di immagine).
Coerentemente con quanto visto nei paragrafi che precedono, i rischi di natura penale sussisteranno qualora l’Amministrazione finanziaria accerti l’indicazione in dichiarazione dei redditi di elementi attivi inferiore a quello previsti o di elementi passivi inesistenti se:
l’imposta evasa è superiore a 100.000 Eur, sempreché l’importo complessivo degli elementi attivi sottratti a tassazione – anche tramite elementi passivi inesistenti – sia superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione dei redditi e, comunque, non inferiore a 2.000.000 Eur. |
Procuratori sportivi
Parimenti, le potenziali contestazioni di natura penal-tributaria possono coinvolgere i procuratori sportivi. Ritornando alla tematica del “fringe benefit”, a questi ultimi potrebbe essere contestato il reato di emissione di fatture soggettivamente (e non anche oggettivamente) inesistenti (secondo la definizione recata dall’art. 1, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 74), dal momento che le fatture emesse nei confronti delle società sportive recherebbero un committente (il club) differente da quello reale (lo sportivo/giocatore).
Il reato sarebbe quindi punibile, ai fini del novellato art. 8 del d.lgs. n. 74, come modificato dall’art. 39, comma 1, lett. l) e m) del Decreto Fiscale, sulla base delle seguenti soglie penali:
se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per ciascun periodo d’imposta, è superiore a 100.000 Eur, il soggetto è passibile di una reclusione da 4 a 8 anni; se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per ciascun periodo d’imposta, è inferiore a 100.000 Eur, il soggetto è passibile di una reclusione da 1 anno e 6 mesi a 6 anni. |
Le considerazioni sopra esposte valgono sia nel caso in cui l’agente sportivo operi direttamente con propria P.IVA e sia nel caso (più diffuso) in cui l’attività professionale avvenga per il tramite di un veicolo societario.
Società sportive
Per concludere, gli interventi normativi effettuati con il Decreto Fiscale potrebbero interessare anche le società sportive, per una serie di motivi.
Innanzitutto, con riguardo al tema “fringe benefit”, sulla base del quadro sistematico descritto nei paragrafi precedenti, alla società sportiva potrebbe essere contestata:
- l’indeducibilità ai fini IRES e IRAP dei costi sostenuti verso il procuratore sportivo;
- l’omessa effettuazione di ritenute a titolo di acconto sulla parte di retribuzione “in natura” (fringe benefit) corrisposta al giocatore/dipendente;
- l’indetraibilità dell’IVA esposta in fattura per difetto di inerenza.
In tal modo, le contestazioni amministrative e penal-tributarie (rimodulate sul caso analizzato) possono essere così sintetizzate:
– sanzione amministrativa dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta ai fini IRES e IRAP, ex art. 1, comma 2 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, nel caso in cui in dichiarazione sia indicato un reddito inferiore a quello accertato; – sanzione penale da 2 a 5 anni qualora dalla presentazione dell’infedele dichiarazione ai fini IRES e IRAP ex art. 4, comma 1 del d.lgs. n. 74, risulti un ammontare complessivo degli elementi passivi (inesistenti) superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione dei redditi e, comunque, superiore a 2.000.000 Eur; – sanzione amministrativa pari al 20% dell’ammontare delle ritenute alla fonte non operate, ex art. 14, comma 1 del d.P.R. 18 dicembre 1997, n. 471; – sanzione penale da 6 mesi a 2 anni nel caso di omesso versamento di ritenute dovute ex art. 10-bis del d.lgs. n. 74, se l’ammontare complessivo degli importi non versati è superiore a 100.000 Eur; – sanzione amministrativa dal 90% al 180% della maggior imposta dovuta ai fini IVA, ex art. 5, comma 4 del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997,n. 471, nel caso in cui dalla dichiarazione presentata risulti un’imposta inferiore a quella dovuta; – sanzione penale da 2 a 5 anni qualora dalla presentazione dell’infedele dichiarazione ai fini IVA ex art. 4, comma 1 del d.lgs. n. 74, l’ammontare complessivo degli elementi passivi (inesistenti) sia superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione dei redditi e, comunque, superiore a 2.000.000 Eur. |
Infine, al firmatario della dichiarazione dei redditi della società sportiva (legale rappresentante) potrebbe essere contestato il reato di dichiarazione fraudolenta, ex art. 2 del d.lgs. n. 74, che punisce con la:
reclusione da 3 a 8 anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compie operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente, finalizzate ad indicare in una delle dichiarazioni dei redditi elementi passivi fittizi (nota: pur nelle soglie di punibilità previste dal comma 1). |
Parimenti, le nuove soglie in materia di reati di natura penal-tributaria esplicano i propri effetti per qualunque altra tipologia di contestazione sollevata dall’Amministrazione finanziaria, che riguardi il caso di infedele dichiarazione (a seguito dell’accertamento di elementi attivi non dichiarati ovvero elementi passivi inesistenti) fino a giungere ai rilievi più gravi (omessa dichiarazione, omesso versamento di imposte e ritenute, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, etc).
Inoltre, in maniera più generale non potrà non tenersi conto dell’impatto che avrà – sulle società sportive – l’estensione delle fattispecie che integrano la responsabilità amministrativa delle società (cd. reati-presupposto) ex d.lgs. n. 231 anche ai delitti tributari.
Dunque, questa (nuova) responsabilità comporterà un’attenta analisi dei casi e situazioni che potranno condurre al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 2 del d.lgs. n. 74, con riguardo a (i) condotte evasive in relazione all’IVA e (ii) all’evasione delle imposte dirette.
E’ bene annotare che, da un punto di vista strettamente calcistico, l’estensione dell’ambito applicativo del d.lgs. n. 231 si accosta alla recente adozione, da parte della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.), di Linee Guida per l’introduzione di modelli di organizzazione, gestione e controllo indonei a prevenire atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità (ex art. 7, comma 5 dello Statuto Federale). Si veda a tal fine il Comunicato Ufficiale n. 96/A del 3 ottobre 2019.
Pur tuttavia è utile ricordare, come annotato nello stesso Comunicato, che queste Linee Guida “perseguono finalità diverse rispetto ai modelli organizzativi predisposti ai sensi del D.Lgs. 231/2001 (…). Ed infatti i Modelli di prevenzione sono volti a prevenire il compimento da parte delle società di atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità previsti dall’ordinamento sportivo, mentre i Modelli 231 sono volti a prevenire il compimento di quei reati contemplati dal Codice Penale che costituiscono presupposto della responsabilità delle società ai sensi del D.Lgs. 231. Ove la società abbia adottato il Modello 231, sarà opportuno un coordinamento di tale Modello 231 con il Modello di prevenzione“.
Nota conclusiva
Sarà in ogni caso opportuno valutare eventuali correttivi che verranno apportati in sede di conversione del Decreto Fiscale per avere un quadro completo del nuovo scenario penal-tributario entro nel quale si inseriranno i delitti di natura fiscale.
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