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Le plusvalenze da calciomercato rientrano nella base imponibile IRAP

Le plusvalenze derivanti dalla cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori costituiscono proventi della gestione ordinaria delle società professionistiche rilevanti ai fini IRAP, trattandosi di trasferimento del diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta verso corrispettivo.

Lo stabilisce la Cassazione con le sentenze n. 2144, 2145 e 2146 depositate lo scorso 25 gennaio, in relazione ad una vicenda riguardante il recupero ai fini IRAP delle plusvalenze realizzate dall’FC Internazionale Milano S.p.A. nelle annualità 2001, 2002 e 2003, contabilizzate dalla società nella voce E.20 del conto economico quali componenti di natura accessoria non afferenti alla gestione ordinaria dell’attività.

La controversia esaminata dalla Suprema Corte ruota intorno alla natura giuridica dell’istituto della “cessione del contratto” di un calciatore da una società sportiva ad un’altra, in forza dell’art. 5 della L. 91/1981 e secondo le modalità fissate dagli artt. 95 e 102 delle Norme Organizzative Interne dellaFederazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.). Una materia sulla quale nel corso del tempo si sono consolidati orientamenti giurisprudenziali differenti, anche in ragione delle opposte tesi sostenute in prassi e dottrina circa la sussistenza di una plusvalenza fiscalmente rilevante ai fini IRAP. Da un lato, la FIGC con nota del 1° marzo 2001 aveva inteso affermare che “l’eventuale maggior somma conseguita nella cessione del contratto di un calciatore non costituisce plusvalenza tassabile agli effetti IRAP”. Dall’altro lato, l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 19 dicembre 2001, n. 213 considerava la sussistenza della fattispecie impositiva dal momento che “con la cessione del contratto, ciò che viene ceduto è il diritto all’utilizzo esclusivo della prestazione dell’atleta dietro corrispettivo”, motivo per cui “il compenso derivante dalla sua cessione genera plusvalenze o minusvalenze classificabili tra i componenti ordinari”.

La rilevanza della questione aveva portato il Consiglio di Stato (CdS) ad esprimersi con il parere n. 5285/2012. I giudici amministrativi riconoscevano innanzitutto la sussistenza di due tesi interpretative a cui poteva essere ricondotta la soluzione giuridica della materia. Secondo una prima impostazione, con il trasferimento del giocatore non si realizzerebbe una cessione contrattuale del diritto all’utilizzo esclusivo delle prestazioni dell’atleta quanto una risoluzione anticipata dell’accordo tra la società cedente e il giocatore, cui farebbe seguito il diritto della cessionaria di stipulare un nuovo accordo con quest’ultimo e senza alcun obbligo di subentro nel contenuto del contratto previgente. Contestualmente, le somme ricevute dalla società cedente a titolo di risoluzione anticipata del contratto non sarebbero imponibili ai fini IRAP in quanto non connesse a beni strumentali d’impresa e non suscettibili di alcuna autonoma funzione produttiva. Diversamente, la seconda impostazione vedrebbe la cessione del calciatore quale ipotesi di trasferimento di un “bene immateriale strumentale all’attività di impresa, sia sul piano tributario, in quanto ammortizzabile, che su quello civilistico, in quanto necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale”, con il subentro della società cessionaria (previo consenso del calciatore) in tutti gli obblighi e diritti connessi. In questo caso, le somme percepite dalla società cedente sarebbero qualificate ai fini IRAP.

In considerazione di tali principi, il CdS aveva ritenuto di condividere la seconda via interpretativa (sostenuta dall’Agenzia delle Entrate), sul presupposto che oggetto del contratto tra la società sportiva ed il calciatore fosse il diritto alla prestazione sportiva esclusiva, che nel bilancio d’esercizio delle società sportive viene iscritto quale bene immateriale nell’attivo dello stato patrimoniale se sussistono i requisiti di utilità pluriennale in termini di flusso di benefici economici perduranti nel tempo.

Muovendo da tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso incidentale della società sportiva avverso le sentenze della C.T. Reg della Lombardia, ritenendo condivisibile l’orientamento espresso dal CdS; allo stesso modo è stato respinto il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate contro la disapplicazione delle sanzioni amministrative per obiettiva incertezza normativa, accertando la sussistenza di evidenti contrasti giurisprudenziali in materia con riguardo alle cessioni dei calciatori avvenute prima dei chiarimenti forniti dal parere n. 5285/2012 (così, anche le sentenze della Cassazione n. 24588 e 24589 del 2 dicembre 2015).

La questione è tuttavia destinare a rientrare tenuto conto che, con la modifica recata dal DL  244/2016, il “nuovo” art. 5, comma 1 del D. Lgs. 446/1997 “sterilizza” qualunque valutazione di tipo qualitativo sul concorso delle plusvalenze da cessione dei contratti di prestazione sportiva dei calciatori alla tassazione ai fini IRAP, sancendo l’irrilevanza dei soli componenti positivi e negativi di natura straordinaria derivanti da trasferimenti di azienda o di rami di azienda.

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