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L’individuazione dei presupposti impositivi Irap nell’esercizio di un’attività artistica: note a margine di sentenze della giurisprudenza delle Commissioni Tributarie e della Corte di Cassazione

Disamina delle recenti pronunce in materia di accertamento dei presupposti impositivi dell’Irap con focus sui soggetti esercenti un’attività artistica.

Sommario: 1. Inquadramento normativo– 2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001 – 3. La posizione di recente giurisprudenza nel caso di contestazioni riguardanti gli artisti – 4. Conclusioni

1. Inquadramento normativo

Negli ultimi anni si è registrato un rilevante numero di pronunce giurisprudenziali relative a contenziosi fra contribuente ed Amministrazione finanziaria inerenti all’accertamento del presupposto impositivo dell’Irap, ovvero l’esercizio di un’attività autonomamente organizzata diretta alla prestazione di servizi. Tali contestazioni hanno interessato, per un certo numero di casi, soggetti nell’esercizio di un’attività artistica (quali attori, direttori d’orchestra, musicisti e cantanti lirici) per i quali, nell’ottica degli enti impositori, la giustificazione del tributo regionale consisterebbe nell’esercizio abituale di un’attività diretta alla prestazione di servizi gestita nella forma di etero-organizzazione, che andrebbe in tal modo oltre la normale capacità di lavoro personale del soggetto che la esegue, comportando la formazione di una ricchezza che, attraverso la combinazione di svariati fattori produttivi (personale e beni strumentali eccedenti le dotazioni minime necessarie all’esercizio dell’attività altrimenti perseguibili in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui), creerebbe valore aggiunto di produzione rilevante ai fini dell’imposta.

Nel seguito si vuole pertanto fornire una panoramica generale sul funzionamento del tributo regionale nell’ottica del soggetto esercente un’attività artistica, valutando i più recenti indirizzi della giurisprudenza di merito e legittimità sul tema, che hanno avuto il pregio di cristallizzare il principio generale secondo il quale, data la natura personalissima dell’attività, vi siano i presupposti (da valutare, ovviamente, caso per caso, escludendo quindi un automatismo su tale affermazione) per asserire che il soggetto possa contare esclusivamente sulle proprie capacità professionali, tali da allontanare l’idea di una possibile sussistenza dell’autonoma organizzazione ai fini Irap.

In primo luogo, presupposti impositivi dell’Irap sono individuati dal Decreto legislativo n. 446 del 15 dicembre 1997 (anche “d. lgs. n. 446”), il quale prevede che il tributo sia dovuto nell’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi[1]. Fra i soggetti passivi Irap sono individuate[2] anche le persone fisiche esercenti attività commerciali (imprese individuali) e le persone fisiche esercenti arti e professioni, i cui compensi sono riconducibili alla categoria dei redditi da lavoro autonomo. Con riguardo al presupposto territoriale, l’imposta si applica nei confronti dei soggetti passivi residenti nel territorio con riguardo al valore della produzione realizzato in Italia. La determinazione della quota del valore imponibile è calcolata, nel caso di soggetti esercenti attività commerciali (art. 55 del Tuir), come differenza tra i ricavi e l’ammontare dei costi delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, dell’ammortamento e dei canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali e immateriali[3]. I componenti reddituali si assumono secondo le regole di qualificazione, imputazione temporale e classificazione valevoli per la determinazione del reddito d’impresa ai fini dell’imposta personale (art. 55-bis del Tuir), vale a dire seguendo il criterio della “competenza”. Di contro, nel caso di soggetti esercenti arti e professioni (art. 53 del Tuir) – come dovrebbe essere, per natura, il caso degli artisti – il calcolo del valore imponibile avviene con riguardo alla differenza tra l’ammontare dei compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti inerenti all’attività esercitata, compreso l’ammortamento dei beni materiali e immateriali, esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente[4]. I compensi, i costi e gli altri componenti si assumono così come rilevanti ai fini della dichiarazione dei redditi, quindi secondo un criterio di “cassa” (art. 54 del Tuir).

Come si è detto, negli ultimi anni si è creato sulla materia un corposo volume giurisprudenziale scaturito dall’incertezza applicativa dell’imposta regionale, nel caso – in particolare – dei lavoratori autonomi, che, in quanto tali, esercitano l’attività in assenza di capitali e lavoro altrui (nel caso dell’attività di impresa, infatti, l’elemento organizzativo sarebbe connaturato nozione stessa di impresa, v. infra). Difatti, dal momento che l’abitualità richiamata dalla disciplina Irap ricorre sia nelle ipotesi in cui l’attività costituisca fattispecie generatrice di un reddito di impresa che un reddito da lavoro autonomo, sembra possibile porre la discriminante – per individuare i casi di imponibilità al tributo – nella presenza di una “struttura autonomamente organizzata”. Detto requisito non deve però essere inteso in senso soggettivo ma in senso oggettivo, dal momento che nel primo caso la fattispecie impositiva si qualificherebbe in tutti quei casi in cui il soggetto sia titolare di un reddito da lavoro autonomo (difatti, qualunque professionista è autonomamente organizzato perché è un soggetto capace di organizzazione autonoma). Ne consegue che la debenza al tributo deve essere accertata allorché il soggetto/professionista – nello svolgimento dell’attività – si avvalga di beni strumentali ulteriori rispetto a quelli indispensabili per l’esercizio dell’attività stessa e personale dipendente oltre il minimo indispensabile[5] richiesto per l’esercizio dell’attività in assenza di tale organizzazione.

2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001

La Consulta, con la sentenza annotata, è intervenuta su varie questioni di legittimità costituzionale del d.lgs. n. 446. L’ordinanza, che ricordiamo ha dato il “via” alla serie di istanze di rimborso Irap che hanno interessato anche molti dei contenziosi trattati nel seguito di questo elaborato, è intervenuta (par. 7 et seq.) sull’inclusione “tra i soggetti passivi d’imposta degli esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1 [NdA: ora, art. 53] del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”. Più in particolare, si sollevavano dubbi riguardanti la legittimità costituzionale della norma istitutiva dell’Irap nella parte in cui “opererebbe una ingiustificata equiparazione” fra il trattamento fiscale dei redditi d’impresa e redditi di lavoro autonomo, con violazione del principio di eguaglianza, del principio di tutela del lavoro in tutte le sue forme e del principio di capacità contributiva (rispettivamente, artt. 3, 35 e 53 della Costituzione). I principi annotati dai Giudici, nella parte in cui hanno escluso dall’Irap i professionisti (in quanto contribuenti individuali esercenti arti e professioni) che svolgono la loro attività senza organizzazione di capitali o lavoro altrui, sono così sinteticamente riassumibili. In primo luogo, l’Irap non è un’imposta sul reddito (quindi, non colpisce il reddito personale del contribuente) bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto nello svolgimento di attività autonomamente organizzate, il che rende censurabile ogni presunta equiparazione fra le due tipologie di reddito ai fini tributari. In secondo luogo, se è vero che nel caso di un’attività di impresa l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa[6], altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’esercizio di un’attività di lavoro autonomo, che può essere svolta con carattere di abitualità pur senza organizzazione di capitali o l’utilizzo di lavoro altrui. Da ultimo, infine, nel caso in cui l’attività venga esercitata in assenza di elementi di organizzazione, risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2, dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa.

3. La posizione di recente giurisprudenza nel caso di contestazioni riguardanti gli artisti

Nell’ambito dell’attività contenziosa, le Commissioni Tributarie e la Corte di Cassazione sono intervenute innumerevoli volte sul tema riguardante la sussistenza dei presupposti impositivi dell’Irap. Molti di questi casi hanno riguardato professionisti ai quali l’amministrazione finanziaria contestava il mancato versamento del tributo regionale al termine di una più ampia attività investigativa sul trasferimento di residenza all’estero (paesi black-list), piuttosto che nell’ambito di procedimenti di impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle entrate alle domande di rimborso dell’Irap presentate dal contribuente. In entrambi i casi, l’orientamento delle Corti permette di evidenziare una chiara direttrice sul tema, che nel seguito si andrà ad analizzare tramite una rassegna delle principali sentenze emesse negli ultimi anni.

Recentemente, la Cassazione è intervenuta sulla questione con la sentenza n. 15174/2020[7], in un caso riguardante il trasferimento di residenza nel Principato di Monaco di un direttore d’orchestra cui l’Agenzia delle entrate notificava un avviso di accertamento (rigettato sia dalla CTP di Roma che dal giudice di appello) con il quale si recuperavano a tassazione imposte dovute (Irpef, Irap, Iva) e non versate per il periodo d’imposta 1999. Quanto alle caratteristiche e condizioni del requisito dell’autonoma organizzazione, quale requisito d’imponibilità ai fini Irap, i giudici hanno chiarito che il fatto costitutivo della pretesa fiscale richiamato dall’art. 2 del d.lgs. n. 446 postula il fatto che il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e, dunque, non risulti inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interessi. Tale requisito non ricorre qualora il contribuente, responsabile dell’organizzazione, impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (cfr. Cass. SS.UU. n. 9451/2016). Nel caso di specie, altresì, l’esercizio di un’attività artistica costituisce elemento presuntivo idoneo a sorreggere l’apprezzamento secondo cui, data la natura personalissima dell’attività, il soggetto possa contare esclusivamente sulle proprie capacità professionali, senza contare su un’autonoma organizzazione per la produzione di un reddito. Tra le pieghe delle motivazioni, i giudici di Cassazione hanno avuto modo di soffermarsi sul tema riguardante l’onere della prova in merito all’accertamento dei presupposti impositivi del tributo, confermando un orientamento (ormai consolidato) secondo il quale nel caso di omessa presentazione della Dichiarazione Irap (e mancato versamento del tributo), è onere dell’Agenzia delle entrate dover dimostrare la sussistenza del fatto costitutivo la pretesa fiscale, mentre, nel caso di richiesta di rimborso dell’Irap versata da parte del contribuente, l’onere di provare l’assenza dell’autonoma organizzazione spetterà a quest’ultimo. Ne consegue, in sintesi, il principio generale secondo cui grava in capo al soggetto che avanza la pretesa tributaria – che sia l’accertamento di una maggiore imposta o il rimborso del tributo – l’onere di provare la presenza, o diversamente l’assenza, del requisito indefettibile dell’imposta regionale. A titolo di esempio, in caso di richiesta a rimborso dell’Irap da parte di un soggetto nell’esercizio di un’attività artistica, spetterà a questi dimostrare concretamente di non avvalersi di collaboratori, agenti o procuratori, provando in quale modo lo stesso possa organizzare la sua attività e i molteplici rapporti con i suoi interlocutori (cfr. Circolare n. 45/2008[8]) in totale autonomia.

Di pari tono alla sentenza commentata sono le conclusioni raggiunte dalla Cassazione n. 5260/2019[9], dove i giudici – dovendosi pronunciare su un caso riguardante una cantante lirica cui l’Agenzia delle entrate aveva notificato diversi avvisi di accertamento contestando il fittizio trasferimento della residenza nel Principato di Monaco e recuperando a tassazione imposte dovute (Irpef, Irap, Iva) e non versate per i periodi d’imposta 2003, 2004 e 2005 – hanno posto l’accento sul “carattere personalissimo dell’attività espletata” dalla contribuente, che porta ad escludere in radice la configurabilità di un’autonomia organizzativa. Questo perché lo svolgimento di un’attività artistica, come quello della cantante lirica, porta a supporre che il soggetto conti solo sulle proprie capacità personali per la produzione del reddito. Circostanza, questa, che tende ad escludere l’esistenza di un assetto organizzativo autonomo ravvisabile anche senza il diretto e personale intervento della cantante (cfr. Cass. n. 12084/2018). Né questa conclusione può essere inficiata dal coinvolgimento di un agente o di una società organizzatrice di spettacoli, tenuto conto che la possibilità di produrre un reddito artistico dipende solamente dalle capacità personali del soggetto.

Le medesime conclusioni sono state confermate anche dalla CTR del Lazio nella sentenza n. 336/2020[10]. Nel procedimento esaminato, i giudici si sono pronunciati sull’appello presentato dall’Agenzia delle entrate per l’annullamento della decisione di primo grado con la quale veniva accolto il ricorso di una cantante lirica contro il silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria al rimborso dei versamenti Irap effettuati nei periodi d’imposta dal 2009 al 2012. Nel contenzioso esaminato, i giudici hanno valutato il caso da una diversa angolatura, partendo dalle informazioni risultanti dal quadro RE delle dichiarazioni dei redditi (“Lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni”) con riguardo alle spese sostenute dalla contribuente per compensi di terzi. Queste si aggiravano infatti nell’ordine del 10% dei compensi percepiti dalla cantante lirica, principalmente riconducibili alle spese per agenti artistici e per l’assistenza fiscale del commercialista. Anche alla luce di tali presupposti, i giudici hanno ritenuto che la contribuente, esercente un’attività di lavoro autonomo, potesse essere assoggettata ad Irap ove fosse stata accertata l’esistenza di un corredo strumentale e di lavoro altrui senza i quali l’attività non avrebbe potuto essere neppure esercitata, il che presupporrebbe l’esistenza di un assetto organizzativo autonomo tale da consentirne il funzionamento anche senza il diretto coinvolgimento dell’artista. Con riferimento all’attività della cantante lirica, è pertanto da escludere una siffatta rappresentazione, in ragione del diretto coinvolgimento del soggetto nella produzione del reddito artistico.

Altre indicazioni sul tema ci pervengono dalla Cassazione con le sentenze n. 12027/2018[11] e n. 15453/2017[12]. Il primo caso attiene al ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate contro la decisione della CTR Lazio, che accoglieva le richieste degli eredi di un’attrice avverso il diniego di rimborso relativo ad Irap per annualità pregresse. La sentenza è meritevole di pregio nel momento in cui il collegio ha valutato come ininfluente, ai fini degli esiti contestati nella vicenda, il fatto che la contribuente avesse effettuato dei pagamenti a favore di una società organizzatrice di spettacoli, escludendo che tale situazione potesse costituire presupposto sufficiente a configurare l’esercizio di un’attività autonomamente organizzata, unitamente all’assenza di controllo da parte dell’artista delle attività svolte dal sodalizio. Di talché, l’utilizzo nella propria attività di dotazioni minime unitamente all’assenza di personale dipendente, erano idonee ad escludere il reddito artistico dal perimetro impositivo dell’Irap. Dalla lettura di questa sentenza emergono due principi, di carattere generale. Il primo, in relazione al quale la valutazione dei presupposti indefettibili del tributo deve avvenire con riguardo alla natura dei rapporti giuridici intrattenuti dall’artista. Il secondo, più particolare, per il quale l’utilizzo di servizi altrui non è di per sé indice di un’organizzazione caratterizzata da autonomia, o per lo meno non lo è fin tanto che, all’interno dell’organizzazione dell’artista, non sia in grado di generare un quid pluris di ricchezza giustificando l’imposizione ai fini Irap. Si prenda ad esempio la seconda ordinanza sopra citata, la n. 15453/2017, nella quale i giudici di Piazza Cavour hanno cassato alla competente commissione regionale il caso riguardante una fotomodella ed attrice alla quale, in ragione delle ingenti spese riportate nel quadro RE della dichiarazione dei redditi PF, veniva contestata la sussistenza di un’autonoma organizzazione nell’attività esercitata e quindi il mancato pagamento del tributo regionale per l’annualità oggetto di verifica. Ma ai fini Irap, ha ribadito la Corte di Cassazione (riprendendo un suo precedente orientamento, cfr. Cass. n. 23908/2016), non può ritenersi integrato il presupposto impositivo per il semplice fatto che il soggetto esercente l’attività artistica si avvalga di un agente ovvero stipuli contratti con una società organizzatrice di spettacoli e sponsorizzazioni, dovendo estendere l’analisi ad una valutazione caso per caso riguardante “alla natura, ossia alla struttura ed alla funzione, dei vari rapporti giuridici”. Questa assunzione trae necessariamente ragione dal fatto che, considerata la natura personalissima dell’attività in parola, un agente dello spettacolo non potrebbe sostituire l’oggetto della rappresentazione artistica, senonché bisognerà valutare il grado di inserimento di questi nella struttura organizzativa dell’artista per valutare l’indice di autonomia imprenditoriale del professionista. Medesime considerazioni possono estendersi ai costi per l’assistenza legale sostenuti dall’artista.

La CTR Lombardia, con l’ordinanza n. 112/2010[13], ha valutato il caso riguardante una conduttrice televisiva alla quale l’Agenzia delle entrate aveva negato il rimborso dell’Irap versata a fronte di ingenti compensi a terzi sostenuti in un’annualità. I giudici osservavano che il compendio di spese sostenute dalla contribuente per l’esercizio della propria attività dovevano essere valutate alla luce dell’attività artistica svolta dal soggetto. Sicché, tenuto conto che “l’ingaggio” della conduttrice era il risultato dell’attività svolta dalla professionista, il costo sostenuto per i servizi di assistenza legale non poteva costituire un fattore integrante l’organizzazione produttiva tassabile ai fini Irap.

Ancora, con l’ordinanza n. 29863/2017[14] la Cassazione ha affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione non può ritenersi soddisfatto qualora l’artista (nel caso di specie, uno show-man televisivo) si avvalga, per l’esercizio dell’attività artistica, di specifiche professionalità che soggiacciono ad altrui responsabilità e sulle quali il soggetto non ha alcun potere di influenza e/o organizzazione. Il caso in esame, formatosi a seguito del diniego al rimborso dell’Irap versata fra il 1998 e il 2001, poggerebbe le proprie radici, secondo l’ente impositore, negli elevati compensi conseguiti dall’artista nelle annualità in parola, a fronte della deduzione dei costi di una truccatrice occasionale, di due autori di testi e di altri compensi accessori (avvocati, notaio e consulenti fiscali). Orbene, i giudici hanno cassato la sentenza concludendo che non può attribuirsi rilievo al fatto che l’artista consegua redditi elevati per giungere ad una semplice presunzione di imponibilità degli stessi all’Irap (cfr. Cass. n. 13471/2015), ritenendo dirimente risolvere dapprima la questione riguardante la riconducibilità (o meno) ad altrui responsabilità ed interesse della struttura organizzativa di supporto all’attività artistica, individuando in questo modo l’eventuale esistenza di un apparato esterno all’artista e da lui distinto.

4. Conclusioni

Tutto ciò considerato, si può concludere che, con riguardo all’esercizio di un’attività artistica, il presupposto impositivo ai fini Irap possa trovare margini di applicazione estremamente limitati (se non proprio assenti). Sulla scorta dell’orientamento espresso dalla Consulta, infatti, i giudici tributari hanno diffusamente valorizzato l’elemento distintivo che connota, da un lato, i casi in cui l’attività di lavoro autonomo abbia i requisiti di organizzazione per essere legittimamente incisa dall’imposta da quelli, dall’altro lato, che tali requisiti non abbia: e cioè l’organizzazione di capitali o lavoro altrui. In ragione della natura personalissima dell’attività esercitata dagli artisti, quindi, non sembrano esservi più dubbi sull’esclusione del reddito prodotto da questi soggetti dal perimetro applicativo dell’Irap, a meno che lo stesso non si ponga come responsabile dell’autonoma organizzazione, che rappresenterebbe il quid pluris in grado di genera


[1] Art. 2, comma 1.

[2] Art. 3, comma 1, secondo periodo.

[3] Art. 5-bis, comma 1.

[4] Art. 8.

[5] Soglia che la Cass. civ. SS.UU., 10 maggio 2016, n. 9451 identifica nell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

[6] Sul punto di veda anche la Cass. civ. SS.UU. 26 maggio 2009, n. 12108, par. 5-6.

[7] Cass. civ. Sez. V, 16 luglio 2020, n. 15174.

[8] Circolare 13 giugno 2008, n. 45/E, paragrafo 10.

[9] Cass. civ. Sez. V, 22 febbraio 2019, n. 5260.

[10] Comm. Trib. Reg. Lazio Sez. II, 21 gennaio 2020, n. 336.

[11] Cass. civ. Sez. VI, 16 maggio 208, n. 12027.

[12] Cass. civ. Sez. VI, 21 giugno 2017, n. 15453.

[13] Comm. Trib. Reg. Lombardia Sez. XXXVI, 29 ottobre 2010.

[14] Cass. civ. Sez. V, 13 dicembre 2017, n. 29863.

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